Architettura
Credo che lo scopo reale dell’architettura sia la costruzione dei luoghi della nostra vita secondo forme che sappiano rappresentarne il valore. Per far questo l’architettura non può non rapportarsi alla storia, alla disciplina tettonica e dell’anonimato, tre dimensioni fortemente connesse fra loro. Sulla base di questo fondamento (storia-tettonica-anonimato) si può evidenziare il rapporto che la forma, nel corso del tempo, ha stabilito con i principi dell’architettura classica. Tutta l’architettura fino alla fine del ‘700, è stata basata su tre sistemi: il sistema trilitico, il sistema ad arco con tutte le sue varianti – la volta a botte o la cupola, ed il sistema a capriate. Tutte le architetture fino ad allora sono state conformate da questi tipi. Dal punto di vista stilistico, il gotico è infinitamente diverso dal romano, il romanico è infinitamente diverso dal rinascimentale, eppure gli elementi che permettevano la costruzione erano gli stessi. Erano naturali e logo-tecnici. Naturali perché mutuate dalla natura. C’è un legame tra la materia e la forma, tra la materia e la sostanza che Aristotele chiamava il “sinodo”; logo-tecnici perché la forma è strettamente legata all’atto costruttivo, al processo della costruzione, potremmo dire appunto che la forma dello spazio e la forma tecnica si fondevano insieme. La bellezza risiedeva nella semplicità, nella nobiltà e nella grandezza come anche nella nitidezza delle linee, tutte qualità rintracciabili nell’arte antica considerata l’unica via per ritrovare la purezza della natura. Alla fine del XVIII sec. La ricerca architettonica tendeva verso una duplice istanza: espressività e individualità, lo strumento di ricerca fu la forma. Si poteva conferire “carattere ad un edificio differenziando la dimensione degli elementi costitutivi, o rendendoli contrastanti nella scala. Trattare gli elementi come combinazioni tridimensionali, fu la grande conquista dell’architettura rivoluzionaria, dove a Boulèe si da il merito di aver introdotto l’arte della geometria per forme semplici, a Ledoux di aver sovvertito gli schemi tradizionali e regalato nuovi metodi di composizione tridimensionali e a Lequeu di aver liberato la forma e reso il disegno di architettura un disegno d’arte. Le basi fondative dell’architettura del novecento sono nella liberazione della forma che viene attuata sullo scorcio del XVIII sec.; questa liberazione avviene attraverso una presa di conoscenza della natura dei materiali, rigorismo – funzionalismo, e la sostituzione della composizione di elementi, con la combinazione di parti. Siamo di fronte a quel processo straordinario che qualifica l’occidente moderno e contemporaneo, la possibilità di produrre autonomamente le forme. I modelli proposti da Boulèe e Ledoux sono quelli di una architettura basata prevalentemente sull’uso di figure geometriche elementari: il cubo, il prisma, il cilindro, la sfera, la piramide e talvolta la sfera. Si tratta di progetti fortemente caratterizzati in senso simbolico, nei quali è visto, invece senz’altro come secondario l’aspetto funzionale. Quindi anche se soltanto a livello formale, le esperienze di Boulèe e Ledoux si possono considerare uno dei motivi da cui ha tratto origine l’architettura razionalista degli anni ’20. soprattutto una sicura matrice dell’opera di Le Corbusier, il quale più di ogni altro esponente del funzionalismo, ha amato l’uso dei volumi puri. Un altro esponente del funzionalismo è l’architetto americano Sullivan per il quale l’architettura è determinata da condizioni pratiche. Il movimento moderno Europeo, quindi il funzionalismo, nasce come superamento dell’art. Nouveau decaduto al ruolo di stile prettamente decorativo. Grande importanza per la nascita del movimento moderno europeo ebbe il Werkbund: associazione di artisti, critici, imprenditori industriali, fondata nel 1907 che cerca di instaurare un collegamento tra l’arte, l’industria e l’artigianato. L’architettura è sempre più segnata da una destinazione pratica e funzionale dell’edificio. La prevalenza delle superfici rappresenta l’elemento della modernità che segna una rottura con la tradizione. La grande architettura del novecento è caratterizzata proprio da questo passaggio, si passa cioè da una architettura fatta di elementi composti e tra loro relazionati ad una architettura che vede il prevalere delle superfici, quello che conta è l’ombra complessiva dell’edificio non l’articolazione in singoli elementi. Due grandi architetti del XX secolo che si sono confrontati con la storia definendo un nuovo scenario della storia dell’architettura sono: Le Corbusier e Mies van de Rohe. Le Corbusier può essere considerato il padre del funzionalismo. Le Corbisier si propone di sanare il dissidio sorto nella società industriale tra tecnica e arte, tra aspetto quantitativo e aspetto qualitativo della progettazione. In Le Corbusier si può coglier, come in L. kahn, un atteggiamento “classico”. Entrambi intendono l’architettura come incarnazione di caratteri umani e naturali e con i loro edifici trasmettono presenza materiale a questi caratteri. Gli architetti moderni in genere hanno escluso la dimensione esistenziale. A questo proposito Le Corbusier scriveva: lo scopo dell’architettura è commuovere”. Relativamente al problema della forma, Mies van de Rohe sostiene che essa non è il fine dell’architettura, ma l’importante è interessarsi al processo che la genera. E’ possibile scorgere nell’architettura di Mies la reminiscenza di una tradizione classica che si manifesta mediante l’appropriazione dei principi costruttivi della classicità. Una attenzione verso il classicismo è riconoscibile nella tendenza di Alvar Aalto rappresentante di un funzionalismo classico organico. Un classicismo che rivendica la matrice geometrica quasi illuministica, nel senso che vengono adottate forme primarie, solidi platonici che diventano il motivo conduttore delle varie creazioni architettoniche dell’epoca. Se da un lato l’approccio di Aalto è quello di una predilezione per la concavità spaziale, per lo spazio interno inteso come forma dell’abitare, del guarire e di tutte le funzioni umane, esiste la linea razionalista che viene rappresentata in Italia dall’opera di Giuseppe Terragni. Zevi ha fatto un parallelo fra queste due opposte concezioni nell’architettura rinvenibili nell’opera di Aalto e in quella di Terragni. Egli notava come se l’approccio di Aalto, e comunque di tutta la linea organica dell’architettura, è quella che parte dall’interno dell’edificio, quello dell’architettura razionale è il processo opposto: quello di partire da una forma geometrica pura preordinata, che nel caso di Terragni corrisponde quasi sempre a quella del quadrato o del rettangolo, e per la pianta da una forma stereometrica pura, cioè quella del parallelepipedo. Dalla forma quindi per trovare poi all’interno di questa una griglia in cui poter interpretare le varie funzioni. Una attenzione meritala concezione architettonica di Tavora che è quella relativa alla felicità. Secondo Tavora infatti, il compito del progetto è dare forma alle esigenze della vita, pertanto l’architetto deve organizzare, misurare spazi che creino un benessere psicologico nell’uomo. Il nostro stato d’animo è infatti fortemente condizionato dalle forme dei luoghi in cui siamo immersi, subiamo dei condizionamenti psicologici determinati, pertanto l’architetto rapportandosi al contesto, allo spirito del luogo deve produrre attraverso la forma la felicità. In questo percorso storico dell’architettura ciò che si evidenzia è il bisogno che l’uomo, in architettura, ha di confrontarsi con la storia, in modo particolare con la storia antica, perché è lì che possiamo cogliere i principi, le regole, lo spirito che definiscono l’architettura ben costruita. E’ nella storia che possiamo infatti cogliere l’arte della costruzione, il senso tettonico, lo spirito del luogo e il senso della bellezza che ne scaturisce definendo la “verita” dell’architettura.